notizie / 26/08/2025 14:31

TURETTA, ACCUSA E DIFESA: LE PROVE DELLO STALKING

Un rapporto malato. Una relazione tossica ancora mesi e mesi prima, che iniziassero, da parte di Filippo, le vere e proprie vessazioni. Sono tre, le aggravanti dell’omicidio volontario, di cui è accusato Turetta davanti alla corte d’assise del Tribunale di Venezia: la premeditazione del delitto, la crudeltà con cui l’avrebbe compiuto, e l’averlo compiuto al termine di una serie di atti persecutori. Questa ultima, è una fattispecie che la legge ha introdotto negli ultimi anni, per aiutare le vittime della violenza di genere, ma anche per inasprire le pene di chi ne è responsabile. Se i giudici accettassero la linea di accusa del pubblico ministero, Turetta sarebbe condannato all’ergastolo.

Per la Procura di Venezia, lo stalking nei confronti di Giulia Cecchettin inizierebbe ufficialmente solo dai primi mesi del 2023, ma da alcuni messaggi che i due si mandavano se ne individuano le prime tracce già nel novembre 2022, un anno prima del femminicidio. Giulia, a marzo, è vittima all’università di un attacco d’ansia e decide di lasciarlo. La separazione dura poco, e nella ricostruzione cronologica del pm c’è una chat lunga decine di pagine in cui Filippo, per tutta la giornata, continua a scriverle: “Sono cambiato, non insisterò più”. E lo scrive in maniera martellante, per ore. Cominciano le minacce di suicidio, che per l’accusa non sono reali ma sono utilizzate solo come ricatto morale verso Giulia. Gli amici la avvertono che lui la sta manipolando, lei lo lascia a luglio, una seconda volta, e addirittura contatta la madre del fidanzato per chiederle di starle vicino, perché comunque teme che possa farsi del male.- allora, però, Giulia annota sul suo diario i motivi per cui l’ha lasciato, quasi per convincere se stessa a non ricascarci. Una testimonianza che racconta i comportamenti tipici di una persecuzione, legge il pm in aula.

L’avvocato difensore di Filippo, invece, codice alla mano spiega: perché si configurino gli atti persecutori, dal punto di vista strettamente giuridico, serve che siano presenti alcune circostanze. Come un cambiamento delle abitudini di vita della vittima, e Giulia non l’aveva compiuto dice il legale. Oppure un timore per la propria incolumità, incompatibile col fatto che Giulia gli abbia proposto quell’ultimo, fatale incontro. O ancora, uno stato di perdurante ansia o paura: Giulia non l’aveva, sostiene la difesa. Lo confermerebbe ciò che lei gli scriveva.

Martedì prossimo, sarà la corte d’assise a giudicare quale delle due parti abbia ragione. Condannando Filippo all’ergastolo, come chiede l’accusa, o a trent’anni, se invece si seguisse la ricostruzione della difesa.

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