URNE DESERTE, MA DAVVERO IL PROBLEMA È IL QUORUM?
Che cosa fare, adesso, per provare a riportare gli italiani alle urne? I referendum, lo sappiamo, sono un esercizio di democrazia a sè stante: non possono essere paragonati alle normali elezioni. Ed è per questo che nessuno si scandalizza dei numeri in sè: alle ultime politiche del 2022 aveva votato il 63% degli italiani, elle europee di un anno fa il 49%. Il 30% degli elettori che hanno risposto ai cinque quesiti referendari di quest'anno sono ben di più del 20% appena che due anni fa si erano recati alle urne per votare i referendum sulla giustizia, la carriera dei magistrati e altre inezie normative di un minuscolo - per quanto fondamentale - ingranaggio del sistema paese.
Per risolvere il problema dei referendum, il 90% dei quali negli ultimi vent'anni è stato un buco nell'acqua, qualcuno propone di abolire il quorum, qualcun altro di abbassarne il limite, altri ancora di raddoppiare il numero di firme necessarie per richiederlo. Quale potrebbe essere la soluzione più efficace?
C’è poi chi propone di indire referendum solo su temi etici, o di importanza vitale per la popolazione: una questione centrale. Negli ultimi vent'anni l'unico referendum che ha raggiunto il quorum è stato quello del 2011 sull'acqua pubblica, un bene che riguarda davvero tutti. Sarebbe perciò il caso di ripensare, per lo meno per una questione di ricorse economiche nazionali, se sia davvero il caso di chiamare gli italiani alle urne per questioni tecniche, burocratiche e già di per sé decise a modificare minimi aspetti della vita pubblica. Pensate davvero che al cittadino medio possa interessare la separazione delle carriere dei magistrati, o le ricadute di responsabilità a catena per un infortunio sul lavoro? Paghiamo profumatamente i nostri parlamentari perché scrivano le leggi e discutano di quegli argomenti che noi umili cittadini non possiamo per forza sapere, ma nemmeno dobbiamo. Quindi gentilmente, non chiedeteci anche di fare il lavoro per cui noi stessi li paghiamo.