MORTI NELLA BIOLOGICA, LAVORAVANO IN NERO
Erano privi di contratto e senza alcuna preparazione specifica i due operai egiziani morti lunedì a Santa Maria di Sala, soffocati dai vapori fuoriusciti delle fosse stagnanti che stavano ripulendo. Lavoravano in nero, senza protezioni, ed erano stati mandati in un ambiente estremamente pericoloso senza le minime misure di sicurezza.
È questo il primo punto fermo dell'indagine per omicidio colposo aperta dalla Procura di Venezia. Al momento non ci sono ancora indagati, ma l’obiettivo degli inquirenti è chiaro: risalire a chi ha dato loro quell’incarico, consapevole del fatto che non avessero né competenze né strumenti adeguati.
I due uomini, un 39enne e un 21enne, erano arrivati in Italia pochi mesi fa, fuggiti dall’Egitto in cerca di un futuro migliore. Ospiti di una cooperativa con sede ora a Mirano, erano stati accolti nel sistema di accoglienza. Ma da quel sistema, sottolineano i vertici delle cooperative coinvolte, non sarebbero partiti incarichi di lavoro.
La villa dove si è consumata la tragedia era stata venduta in primavera. La nuova proprietà aveva chiesto lo sgombero e la pulizia dell’area. L’ex proprietario, a sua volta, aveva incaricato una ditta di trasporti e facchinaggio, ma è stato accertato che i tre operai – due dei quali deceduti, mentre il terzo è irreperibile – non lavoravano per quell’impresa.
Ora la Procura attende di disporre l’autopsia per chiarire se la causa del decesso sia stata l’asfissia o l’annegamento, ma la sostanza non cambia: si tratta di morti sul lavoro, vittime di sfruttamento e di un sistema che li ha lasciati senza tutele.
La domanda decisiva resta ancora senza risposta: chi li ha chiamati? Chi ha ordinato l’intervento, pur sapendo che non erano in grado di affrontarlo in sicurezza? Solo rispondendo a questo interrogativo si potrà davvero iniziare a fare giustizia.
