VENETO BANCA, LA TRUFFA FINISCE IN PRESCIZIONE
2300 risparmiatori rimasti, ancora una volta, con il cerino in mano. Il processo per associazione a delinquere finalizzata alla truffa nei confronti di Vincenzo Consoli e degli ex manager di Veneto Banca, Renato Merlo e Mosè Fagiani, è ormai diretto – come era stato ampiamente previsto - verso un binario morto. Per tutte le accuse, è infatti ormai intervenuta la prescrizione: il tempo che si è perso per anni, tra mille difficoltà e con il continuo rimpallo di competenza con la Procura della Repubblica di Roma, ha fatto sì che alla primissima udienza del processo, tenutasi in tribunale a Treviso, venisse subito sollevata dalle difese la questione del fuori tempo massimo. Che verrà formalizzata dal collegio giudicante, con un esito scontato, alla prossima udienza del 14 dicembre.
Nulla da fare quindi per le parti offese, più di 2300 tra soci, clienti e aziende che avevano investito nelle azioni di Veneto Banca. I pubblici ministeri avevano contestato agli imputati l’ipotesi di truffa, per aver avvallato la vendita di azioni a un prezzo gonfiato di quasi l’80 per cento rispetto al loro reale valore. Tra il 2012 e il 2014, quando il valore medio di mercato dei titoli si aggirava intorno ai 39 euro, le azioni valevano in realtà tra il quasi l’80 per cento in meno, e per l’accusa Vincenzo Consoli, insieme ai manager rinviati a giudizio, avrebbe consapevolmente adottato una politica aggressiva sopravvalutando le azioni.
L’associazione a delinquere finalizzata alla truffa, però, come detto finisce nel dimenticatoio, mentre il primo filone d’inchiesta, quello per ostacolo alla vigilanza bancaria, ha visto Consoli condannato a tre anni (in sede di appello), mentre erano già stati prescritti aggiotaggio e il falso in bilancio. Il terzo filone d’inchiesta, per bancarotta fraudolenta, va invece avanti e la prescrizione arriverà solo nel 2030.