COSA SI NASCONDE DIETRO AI CAPI CHE ACQUISTIAMO?
Ci siamo mai chiesti come faccia a costare così poco un vestito che acquistiamo? O chi produce le nostre scarpe e in quali condizioni? Le risposte a tutte queste domande possiamo trovarle in quel modello di business chiamato fast fashion, la moda veloce.
Questo si basa su una produzione rapida e di grandi quantità, con la merce venduta poi ad un prezzo irrisorio. A questo punto il consumatore potrebbe chiedersi dove sia il problema.
Ma la realtà è ben diversa e spesso amara.
Il dato allarmante innanzitutto proviene dal forte impatto ambientale. Come afferma la SERI, un’organizzazione di ricerca europea, il fast fashion rappresenta il 10% del consumo globale di acqua: per produrre una qualsiasi maglietta che indossiamo quotidianamente, sono necessari oltre 2700 litri di acqua, ovvero il fabbisogno idrico di una persona per oltre due anni. Notevoli anche le emissioni di gas serra. L’ industria tessile è uno dei principali responsabili dell’emissione di CO2, confermandosi una delle più inquinanti al mondo.
Ma il vero problema è la velocità a cui viaggia la moda, che indica continuamente nuovi trend da seguire. Ci stanchiamo troppo facilmente dei vestiti che abbiamo. Stando ai dati di Earth.org, organizzazione ambientale non profit, oggi un vestito viene utilizzato il 36% in meno prima di essere buttato. Solamente in Italia, sono oltre 460 le tonnellate di rifiuti tessili.
Per la realizzazione di questi capi ogni tipo di diritto viene calpestato. Diversi studi hanno evidenziato la presenza di lavoro forzato e minorile, in paesi come Bangladesh, India, Cina e Vietnam. Bambini costretti a respirare per ore e ore sostante tossiche.
Di conseguenza, è necessario chiedersi se ne valga davvero la pena, e soprattutto a quale costo stiamo pagando le conseguenze di questo sistema.