MOSCA: “ORA TOCCA A KIEV”, E LA TREGUA NON SI FA

La pace in Ucraina procede su un percorso ad ostacoli.

La telefonata tra i presidenti Trump e Putin, avvenuta nella serata di lunedì 19 maggio, aveva fatto ben sperare: il Cremlino aveva parlato di cessate il fuoco e di dialogo diretto con Zelensky, ma nulla di tutto ciò sta accadendo, al momento.

Dalla telefonata emerge che Russia e Ucraina si accusano a vicenda di essere l’ostacolo alla pace, creando così una posizione di stallo.

“La Russia non si è mai rifiutata di negoziare, ma ora la palla è nel campo di Kiev”, commenta il Cremlino, passando la responsabilità della tregua all’Ucraina.

Ma Donald Trump sembra perdere la pazienza.

Il presidente americano, che preme per la pace soprattutto per mettere le mani sulle terre rare ucraine, ora riapre alla possibilità di applicare sanzioni alla Russia.

Dapprima la Casa Bianca aveva escluso ulteriori ritorsioni economiche, preferendo una posizione di neutralità, forse per non ostacolare il dialogo tra le parti.

Ora il presidente Trump afferma che le sanzioni americane dipenderanno dal “comportamento di Mosca”.

Intanto Putin si è recato nella regione del Kursk, territorio al confine con l’Ucraina riconquistato dai russi.

L’esercito ucraino aveva sottratto la regione alla Russia ad agosto 2024, salvo poi perderla nello scorso aprile.

Il presidente russo ha visitato la centrale nucleare Kursk-2, ancora in fase di costruzione.

La visita è fortemente simbolica: Putin si sente sicuro ad entrare in un territorio riconquistato da così poco, e anzi, i russi sono così convinti di mantenere il controllo della zona da costruirci una centrale nucleare.

Una dimostrazione di forza da non sottovalutare, soprattutto alla vigilia dei possibili colloqui diretti.