TRADÌ IL REFERENDUM SULL’ACQUA, ITALIA ACCUSATA
L’acqua un bene comune per la sopravvivenza, ma solo sulla carta.
Nel clima dei rialzi generali dei prezzi, anche l’acqua ha subito un incremento medio delle tariffe del 18%.
Un aumento che però non è giustificato da ragioni di mercato, in quanto i gestori hanno poi registrato un margine di guadagno amplificato.
In sostanza, le tariffe maggiorate servono per gonfiare le tasche dei fornitori privati.
Nel 2011 un referendum popolare aveva chiesto che l’acqua venisse considerata invece un bene pubblico, dunque a fornitura statale, con conseguente divieto di trarre profitto da un elemento così essenziale.
Allora il 95% dei votanti, circa 26 milioni di italiani, avevano votato “sì”, una percentuale che forse non si era mai vista prima.
Ma la volontà popolare è stata tradita e ad oggi l’acqua è ancora nelle mani dei privati, con conseguenze negative sulle bollette e sulla qualità di vita dei cittadini.
Lo Stato italiano non ha mai attuato misure adeguate per dare effetto al referendum.
Per questo motivo un gruppo di giuristi ha presentato un ricorso di 2000 pagine alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, accusando l’Italia di essere venuta meno agli adempimenti imposti dal sistema referendario.
Tra sei mesi la valutazione del ricorso: se sarà ammesso, l’Italia dovrà giustificarsi sulla mancata osservanza dell’esito referendario.